Quattordici donne in stato di gravidanza hanno deciso volontariamente di partecipare a un’iniziativa per verificare se e quanto siano esposte all’erbicida
glifosato. L’iniziativa italiana, lanciata dalla rivista
Il Salvagente in collaborazione con l’associazione A Sud, è stata condotta esaminando quattordici campioni di urine di persone residenti a Roma, quindi apparentemente non a contatto diretto con i vasti campi agricoli dove l’erbicida viene usato regolarmente.
Il glifosato è ovunque, ma la legge non tutela i cittadini
Le tracce di glifosato riscontrate nelle analisi vanno da 0,43 nanogrammi per millilitro di urina fino a 3,48 nanogrammi. Valori che non è possibile giudicare in modo chiaro perché la legge ancora non prevede quantità massime consentite. Il motivo di questo vuoto normativo è dovuta al fatto che gli studi recenti che si sono occupati del glifosato sono divisi sul suo grado di pericolosità.
Sul glifosato leggi anche:
La relazione dell’Agenzia per la ricerca sul cancro (la
Iarc) aveva preso in esame cinque sostanze chimiche usate in agricoltura, tra cui l’erbicida più popolare al mondo commercializzato per la prima volta dalla
Monsanto, riscontrando una correlazione epidemiologica tra l’esposizione a quest’ultimo e il linfoma di non-Hodgkin con “prove convincenti che possa causare il cancro negli animali da laboratorio”. Conclusione diversa da quella dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (la
Efsa) secondo cui è “improbabile che il glifosato costituisca un pericolo di cancerogenicità per l’uomo e propone nuovi livelli di sicurezza che renderanno più severo il controllo dei residui negli alimenti”. Il rapporto dell’Efsa, però, è stato accusato di essere sostanzialmente basato su un precedente studio tedesco finanziato dalle aziende produttrici di diserbanti.
Filari di un vigneto in provincia di Verona © Massimo Colombo
Le minacce per la salute sono evidenti, anche senza certezza scientifica
È evidente, secondo quanto riportato dal Salvagente, che “il glifosato non dovrebbe mai essere presente nel nostro organismo, tanto meno in quello dei nascituri”. Almeno fino a che non venga accertato che sia innocuo, per la salute degli esseri umani e dell’ambiente come vuole il
principio di precauzione, cioè la necessità di agire per salvaguardare l’ambiente e la salute anche quando non c’è ancora la certezza scientifica, ma le minacce sono evidenti. Non è la prima volta, infatti, che questo tipo di analisi viene condotto su donne incinte. Uno studio pilota è stato condotto nel 2014 negli Stati Uniti e ha trovato alte concentrazioni di
glifosato nel latte materno e nelle urine, dimostrando per la prima volta che l’erbicida si accumula nel corpo umano.
“Se non si cambia rotta nessuno può sentirsi al sicuro. Né può pensare che lo siano i propri figli, neppure se non hanno ancora visto la luce”, ha spiegato
Riccardo Quintili, direttore del mensile il Salvagente, presentando in conferenza stampa il numero della rivista dedicato proprio al pesticida. “Tra le tante cose da cambiare c’è anche l’atteggiamento di chi dovrebbe istituzionalmente difendere i consumatori e invece spesso si macchia di conflitti d’interesse che ne ottenebrano il giudizio”, riferendosi proprio alla dubbia trasparenza del rapporto dell’Efsa avanzata anche dal
settimanale tedesco Die Zeit.
Ad avvalorare questa tesi, si aggiunge la voce dell’oncologa
Patrizia Gentilini che fa anche parte del comitato scientifico dell’
Isde (International society of doctors for the environment, la società internazionale dei medici per l’ambiente: “Ci sono numerosi dati sperimentali condotti su cellule placentari ed embrionali umane che dimostrano come il glifosato induca necrosi e favorisca la morte cellulare programmata. Quindi si tratta di una sostanza genotossica oltre che cancerogena, come ha stabilito la Iarc, non dimenticando che l’erbicida agisce anche come interferente endocrino”.
Nel corpo umano attraverso l’alimentazione
Tra i motivi della presenza di tracce di glifosato nelle urine delle future mamme ci sarebbe l’alimentazione. L’erbicida, infatti, è stato trovato in pasta, pane e altri prodotti a base di farina, come già fatto notare da un’altra analisi del 2016 su 100 cibi (acqua potabile inclusa) della stessa rivista
Il Salvagente. Inclusi alimenti derivati visto che l’85 per cento dei mangimi utilizzati negli allevamenti intensivi contengono mais, soia e colza geneticamente modificati per resistere al glifosato.
Il glifosato in Italia © Massimo Colombo
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